Che cos’è il traffico diretto in Google Analytics e come ridurne l’impatto

Direct Traffic su GA4: cosa è e come limitarne l'impatto

Google Analytics è un fantastico strumento di analisi dei siti web per gli addetti al marketing che vogliono capire come gli utenti interagiscono con i loro contenuti.

Le analisi a livello di acquisizione del traffico ci forniscono raggruppamenti in base alla provenienza, fornendo in questo modo una serie di “categorie” che ci consentono di capire da dove provengono i visitatori e con cosa interagiscono.

In questo ambito una crescita anomala del traffico diretto (o “direct“) è una delle problematiche che ci si trova spesso ad affrontare.

Ma che cos’è il traffico “direct”? E soprattutto, come si può aggirare il problema della crescita anomala per capire da dove provengono realmente gli utenti?

Nella definizione “standard” si tratta del traffico generato dai visitatori che arrivano sul nostro sito web dopo aver digitato la URL direttamente nel loro browser.

In altre parole, i visitatori che non utilizzano i motori di ricerca, i social media o altre fonti esterne per raggiungere una pagina del sito.

Ma il traffico diretto può anche riferirsi alle visite al sito che per vari motivi Google non è stato in grado di attribuire ad alcuna fonte specifica. Come succede quando un utente clicca su un link in un annuncio di Facebook che non include parametri di tracciamento, e che quindi GA4 non è in grado di categorizzare correttamente a livello di sorgente.

Quindi, in questo articolo, ci rifaremo al “traffico diretto” in Google Analytics in riferimento alle visite al sito web di cui non si conosce la fonte di traffico o la fonte di riferimento non è tracciata correttamente.

Il traffico diretto può essere un segno di buona conoscenza del brand, oppure un segno di scarsa ottimizzazione  nei tracciamenti. Dipende dai casi.

Come visualizzare il traffico diretto in Google Analytics 4

In Google Analytics 4, è possibile accedere al rapporto “Acquisizione traffico” selezionando “Rapporti” e  poi scegliendo “Acquisizione traffico” sotto “Ciclo di vita”:

GA4: report sorgenti di traffico

In questa area di Google Analytics 4 è possibile vedere alcuni report sul traffico e sui canali. Scorrendo verso il basso in questa pagina, è possibile vedere i dati completi sul traffico diretto rispetto agli altri canali.

È quindi possibile confrontare il traffico diretto con le altre sorgenti, e visualizzarle in base a:

  • Pagina di destinazione
  • Fonte del primo utente
  • Media della sessione e altro ancora

Per ottenere maggiori informazioni sul traffico diretto è anche possibile utilizzare modelli personalizzati in “Esplora”, generando i propri report di analisi.

A cosa è dovuto il traffico "direct" in Google Analytics?

Ora che abbiamo capito meglio cos’è il traffico diretto, vediamo quali sono le motivazioni che stanno alla base di questo tipo di classificazione da parte di Google. Ci sono diversi fattori che possono contribuire al traffico diretto:

  • Inserimento facilitato della URL, inserimento manuale di indirizzi o segnalibri
  • Codice di tracciamento mancante o non funzionante
  • Documenti non html
  • Da HTTP a HTTPS
  • Dark Social

Google cerca di ridurre automaticamente al minimo il traffico diretto nei suoi rapporti. Per esempio: se un utente visita il sito tramite una ricerca organica e ritorna tramite un accesso diretto una settimana dopo, entrambe le sessioni saranno attribuite alla ricerca organica iniziale. Ma questo avviene solo per un determinato periodo di tempo stabilito da Google, il tempo di attribuzione. Se l’utente ritorna sul sito, magari digitando direttamente l’indirizzo nella barra di ricerca del suo browser, oltre il tempo di attribuzione, la visita sarà registrata come “direct”.

Inserimento guidato della URL, inserimento manuale degli indirizzi o segnalibri

Abbiamo raggruppato queste casistiche perché sono il motivo primario per cui Google Analytics cataloga il traffico come “direct”. E per quanto riguarda GA4, non c’è modo di evitarlo.

Per comprendere meglio, proviamo a pensare a cosa potrebbe succede nella pratica:

un utente arriva sul sito per la prima volta tramite una ricerca organica e visita il sito. In questo caso la visita viene catalogata come “Organic Search” (o “ricerca organica”).

Tempo dopo vuole nuovamente accedere al sito. Questa volta, inizia a scrivere il nome del sito nella barra di ricerca. Il browser, utilizzando i cookie e i dati della cache, riempie automaticamente la barra con la URL del sito. A questo punto all’utente basta premere Invio sulla tastiera per entrare nella pagina già visitata.

In questo caso Google tratterà questa visita come sessione diretta.

Lo stesso vale per l’inserimento manuale dell’indirizzo, ad esempio se ha inserito il sito tra i preferiti per tornarci in seguito.

Fin qui siamo nelle situazioni in cui la catalogazione come “direct” è effettivamente corretta.

Vediamo ora alcune cause che generano traffico diretto che che in realtà non lo sono.

Codice di tracciamento mancante o non funzionante

Una causa comune di traffico diretto in Google Analytics è la (parziale) mancanza o il mancato funzionamento del codice di monitoraggio.

In fase di sviluppo del sito è necessario porre la massima attenzione e fare in modo che tutte le pagine includano il codice di monitoraggio di Google Analytics. Idealmente, il codice Javascript per il tracciamento dovrebbe trovarsi nel tag body, ma non tutti i siti sono configurati in questo modo. Un ottimo modo per inserire il codice nel modo corretto e automaticamente in tutte le pagine del sito è quello di utilizzare Google Tag Manager, che consente di gestire in un unico punto centralizzato tutti gli script di tracciamento (GA4, Google Ads, Pixel di Meta, ecc…), oltre ad offrire moltissime altre funzionalità.

Senza il codice, GA non può tracciare la provenienza dell’utente. Quindi, se per esempio un utente arriva su una pagina senza il codice di tracciamento e poi passa a una seconda pagina nella quale il codice è presente, Google Analytics 4 non ha altra scelta che attribuirlo come traffico diretto, perché la provenienza da una pagina senza codice non consente di rilevare la visita a quella pagina e quindi a definirla come “referrer”.

Documenti non html

I link incorporati nei documenti creati con Word, Documenti Google o documenti in formato PDF, normalmente non trasmettono  insieme alla URL le informazioni sul referrer.

Pertanto, per impostazione predefinita, ogni utente che visita il sito tramite uno di questi link sarà classificato come “direct”.

In un certo senso questo è inevitabile e costituirà sempre una parte del traffico diretto. Tuttavia, ove possibile,  è consigliabile creare link in queste risorse non HTML aggiungendo i parametri UTM. Questo consente a Google di raccogliere i dati di riferimento anche se provengono da una fonte non tracciabile, come i documenti non HTML.

HTTP – HTTPS

Si tratta di situazioni ormai rarissime (e che quindi ben difficilmente possono impattare sulla quantità di traffico “direct”), ma che documentiamo ugualmente poiché in qualche raro caso potrebbe verificarsi.

Se un utente che sta navigando un sito accessibile con protocollo sicuro (HTTPS) segue un link che porta ad una pagina del nostro sito a cui si accede con protocollo non sicuro (HTTP), i dati di riferimento del sito di partenza non vengono trasmessi. Pertanto, tutte le sessioni di questo tipo verranno catalogate come traffico diretto anziché come referral.

Questo fa parte del modo in cui è stato progettato il protocollo HTTPS e non può essere evitato.

Dark social

Il dark social si riferisce fondamentalmente alle condivisioni social che, per vari motivi, non possono essere attribuite correttamente.

Per esempio potrebbe trattarsi di link condivisi su Facebook Messenger, WhatsApp o anche via e-mail.

Secondo uno studio recente, quasi l’80% delle condivisioni di link avviene attraverso questi canali, rendendo l’attribuzione ancora più difficile.

Non sempre però il traffico proveniente da queste sorgenti, in assenza di altri parametri, viene attribuito al traffico diretto. In alcune circostanze potrebbe essere attribuito al traffico “referral”.

Poiché si tratta di una forma di comunicazione e condivisione di link sempre più utilizzata, è necessario tenerne conto, e, anche in questo caso, utilizzare i parametri UTM quando possibile.

Come ridurre l'impatto del traffico "direct"

Dopo aver analizzato i motivi principali per cui una parte del traffico verso un sito può essere catalogato, erroneamente, come “direct”, vediamo ora come possiamo ridurre al minimo l’impatto di queste errate attribuzioni.

Come abbiamo visto, il traffico diretto è sostanzialmente inevitabile. E non è detto che sia necessariamente una cosa negativa, perché il traffico diretto potrebbe indicare che le persone conoscono il sito e lo cercano intenzionalmente, anche se dobbiamo ammettere che questi casi non sono così frequenti.

Se dovessimo definire una regola generale per indicare un range ragionevole per il traffico diretto, potremmo pensare ad una percentuale compresa tra il 5% e il 20% del traffico registrato da Google Analytics. Se questa percentuale viene superata, è possibile che ci sia qualcosa da sistemare nel sistema di tracciamento nel suo complesso, o in qualche elemento del sito.

Di seguito elenchiamo alcune possibili ottimizzazioni per ridurre il traffico diretto e ottenere migliori informazioni:

  • Implementare i parametri UTM
  • Migrare ad HTTPS
  • Evitare vanity URL
  • Controllare il codice di Google Analytics
  • Bloccare il traffico interno

Implementare i parametri UTM

Iniziamo con l’operazione più ovvia e che dovrebbe essere una pratica standard per i marketer.

Il tracciamento delle campagne, noto anche come “codici di tracciamento UTM“, consente di aggiungere un codice di tracciamento speciale alla URL presente nel link, che aiuta Google ad identificare il modo in cui gli utenti raggiungono il sito (oltre che il rendimento delle campagne a pagamento).

In questo modo, Google Analytics potrà raccogliere i dati relativi alla fonte e al mezzo di provenienza della visita  estraendo le informazioni direttamente dai parametri UTM presenti nel link. In questo modo, per i link che non possono essere tracciati diversamente, possiamo assicurarci che siano attribuiti al canale giusto.

Nell’autunno del 2023, con il rilascio della versione 17 di iOS, Apple ha introdotto la “Link Tracking Protection” dando il via ad una ulteriore problematica: la rimozione da parte del browser di tutti i sistemi “nativi” di tracciamento utilizzati dalle varie piattaforme presenti nei link:

gclid -> Google Ads
dclid -> Rete Display di Google
fbclid -> Facebook Ads
twclid -> Annunci Twitter
msclklid -> Annunci Microsoft
mc_eid -> Mailchimp
igshid -> Instagram

Questo significa che il codice di tracciamento inserito automaticamente dalle varie piattaforme viene rimosso dal link che viene aperto, eliminando, quindi, la possibilità per Google di comprendere la reale fonte della visita al sito.

Fortunatamente, per ora, non vengono eliminati i parametri UTM, che diventano così l’unico modo certo per attribuire una visita al sito alla fonte corretta.

NB: Firefox, nelle settimane successive all’uscita della “Link Tracking Protection” di Apple, ha già introdotto nel proprio browser alcune limitazioni che imitano quanto implementato nella LTP, e molto probabilmente altri browser, a breve, seguiranno la stessa strada. 

Diventa quindi fondamentale non dimenticare l’uso dei parametri UTM in tutti i nostri link sparsi per il web se vogliamo che l’attribuzione alla fonte del traffico possa avvenire in modo corretto.

Migrare ad HTTPs

Come abbiamo detto, stiamo parlando di situazioni ormai rarissime: i siti web, nella stragrande maggioranza, sono oggi raggiungibili attraverso il protocollo HTTPS, quindi attraverso un canale sicuro di comunicazione.

Nel caso in cui si stia però analizzando il traffico di un sito che non è ancora stato configurato per il protocollo HTTPS, questo può influire sul modo in cui Google Analytics traccia il traffico, in particolare quando si tratta di tracciare il traffico di “referral”, quindi quello proveniente da altri siti.

Quando un utente clicca su un link da un sito web sicuro (HTTPS) verso un sito non sicuro (HTTP), le informazioni di riferimento potrebbero non essere trasmesse al sito web non sicuro. Questo può far sì che il traffico venga classificato come traffico diretto anziché come traffico di “referral” in Google Analytics.

La soluzione è semplice: attivare il protocollo HTTPS sul proprio sito.

Evitare le "vanity URL"

Le “vanity URL” sono ottime per tracciare in modo approssimativo l’impatto di particolari campagne.

PS: non sai cosa sono le “vanity URL”? Prima di proseguire, scoprilo in questo post dello Studio Legale Paolini.

Di fatto si tratta di un meccanismo di redirezione di una URL verso un’altra URL. La gestione dei reindirizzamenti, però, è fondamentale per una buona struttura del sito e per l’esperienza dell’utente, oltre che per il monitoraggio.

Perciò, quando si utilizzano vanity URL semplici senza tag UTM, è bene ricordare che si otterranno dati di riferimento piuttosto limitati, perché la redirezione da una URL all’altra genera la perdita delle informazioni relative alla sorgente di partenza.

Utilizzando una vanity URL alla quale vengono aggiunti tutti i tag appropriati (UTM), è possibile garantire che Google Analytics tracci accuratamente le sessioni.

Controllare il codice di Google Analytics

Se sulle dashboard presenti nella proprietà di Google Analytics 4 è già possibile vedere alcuni dati, è quasi certo che il codice di tracciamento è già stato configurato in qualche modo sul sito, o almeno su alcune pagine.

Tuttavia è necessario verificare dove è presente il tag di tracciamento sul sito e se è presente in tutte le pagine.

Se non è stato installato nel posto giusto, potrebbe significare che nuove pagine non vengono tracciate da Google Analytics.

Consigliamo sempre di utilizzare Google Tag Manager per gestire il codice di tracciamento di GA4. In questo modo, tra l’altro, abbiamo maggiore controllo sull’attivazione o meno del tracciamento stesso in base alle scelte che l’utente avrà fatto sul banner dei cookie. A proposito: utilizzi già la Consent Mode V2 per la gestione del consenso da parte degli utenti? Se non sai di cosa si tratta puoi dare una occhiata al nostro articolo a questo riguardo.

Bloccare il traffico interno

È probabile che il vostro team e quello degli sviluppatori visiti il sito web in più occasioni nel corso della giornata.

E quasi sicuramente questo viene fatto utilizzando un segnalibro (o bookmark), oppure affidandosi al riempimento automatico nella barra degli indirizzi del browser. A questo punto sappiamo bene cosa questo significhi: traffico “direct”!

È buona pratica bloccare il tracciamento del traffico interno per evitare di conteggiare una crescita di traffico direct che potrebbe includere traffico irrilevante.

Bloccare il traffico interno è semplice ma richiede che le visite dello staff e degli sviluppatori avvengano da connessioni internet con indirizzo IP statico, ed è necessario conoscere questi indirizzi IP. Per procedere con il blocco del traffico interno è possibile procedere in questo modo: 

su GA4 andare in “Amministrazione” e da lì selezionare “Flussi di dati” sotto “Proprietà”. Quindi selezionate “Configura impostazioni tag”.

Scegliere di mostrare tutte le impostazioni e poi selezionare “Definisci traffico interno”.

Qui sarà possibile aggiungere l’indirizzo IP di tutti gli uffici, in modo che non siano più inclusi nei report.

Conclusioni

Sebbene la corretta definizione del traffico diretto in Google Analytics 4 possa essere una seccatura, speriamo che questi passaggi possano essere di aiuto a ridurre al minimo i riferimenti errati al traffico “direct” per poter attribuire le visite ai canali corretti.

Se non vi sentite pronti per affrontare autonomamente queste ottimizzazioni, potete utilizzare il modulo di contatto per richiedere una nostra analisi o supporto nella corretta implementazione dei vostri asset di analytics.

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